In tempi di appalti pubblici e FatturaPA, i risvolti più riposti legati alla trasparenza amministrativa tornano in auge e diventano sempre più pressanti. Sono stati fatti passi in avanti contro la corruzione con l’istituzione di appositi uffici, gli appalti viaggiano su piattaforme informatiche così da limitare al massimo le possibilità di brogli, e su tutto vigila comunque e sempre la L.241/90 riguardante l’accesso agli atti amministrativi. Spesso interpretata in senso restrittivo, la cd. legge sulla trasparenza amministrativa oggi coinvolge un nuovo ambito applicativo, quello della posta elettronica della PA, grazie a una recente sentenza del Consiglio di Stato: la 5.3.2015, n. 1113, che a mio avviso apre nuovi scenari anche per aziende e cittadini.
Pur ricordando che le sentenze in Italia fanno stato solo fra le parti, ovvero non sono leggi, e che quella in esame riguarda un dipendente statale, è importante citare questo provvedimento perché l’organo che l’ha emesso è il più alto in grado nel settore giudiziario amministrativo, ed è presumibile che tutti i tribunali amministrativi gerarchicamente inferiori non si esimeranno dal tenere presente questa sentenza. Tralasciando il fatto nello specifico, che si può leggere nel testo del provvedimento, veniamo al punto saliente.
A una dipendente dell’INAF (Istituto Nazionale di Astrofisica) che aveva avanzato richiesta di accesso agli atti, l’amministrazione aveva negato l’accesso a una mail per esigenze di riservatezza, un messaggio di posta elettronica citato en passant fra i documenti forniti alla istante, ma del quale veniva negato il contenuto. Infatti, l’amministrazione, in risposta al primo accesso agli atti ha fatto riferimento, per la prima volta, alla missiva di cui all’allegato 5 di cui non ha però consentito l’integrale visione comprensiva del nominativo del mittente. A fronte di tale nota la parte ha pertanto formulato una nuova richiesta di accesso alla quale l’INAF ha opposto ricorso opponendo la questione di riservatezza perché l’e-mail: “sarebbe stata inviata all’indirizzo personale del Presidente e all’indirizzo istituzionale ad accesso esclusivo del Presidente stesso;” e inoltre “non sarebbe stata protocollata… e avrebbe un tono confidenziale.”
Il Consiglio di Stato vede in altro modo la questione e richiama due articoli della L.241/90:
- L’art. 22, lettera d) prevede che per “documento amministrativo” si intende “ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale”.
- L’art. 24, comma 7 dispone che “deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici”. La norma aggiunge che nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e, in presenza di situazioni giuridiche di pari rango, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale.
La Corte ne deduce che “in relazione alla natura di documento, il contenuto dell’e-mail non può ritenersi corrispondenza privata in quanto il Presidente ha provveduto a rendere edotti gli uffici dell’amministrazione dell’esistenza di tale informativa. Così facendo ha reso egli stesso di rilevanza pubblica il documento. Non è un caso che la parte privata è venuta a conoscenza dell’esistenza dell’e-mail perché il responsabile del procedimento, nell’atto di diniego dell’accesso, ha fatto ad essa riferimento mediante il rinvio all’”allegato 5″. Si trattava dunque di un documento ormai detenuto dall’amministrazione. La tesi dell’appellante sarebbe stata corretta se il Presidente avesse mantenuto in “forma privata” la corrispondenza ricevuta, assegnandole valenza non rilevante ai fini dell’attività istituzionale dell’ente.”
Per quanto la vicenda sia circoscritta a soggetti e motivazioni particolari, suscita interesse la definizione di documento amministrativo, che il Consiglio di Stato ha assimilato anche alla posta elettronica e che, con un minimo di attualizzazione, si potrebbe estendere anche a documenti informatici della PA, sebbene debbano sussistere tutti i requisiti di legge e i presupposti che hanno dato origine alla sentenza.